Per il terzo appuntamento di “Racconti d’Arti in Viaggio“, nel primo pomeriggio, sono stata a Roma per la mostra “Dalí, rivoluzione e tradizione”, inaugurata oggi, venerdì 17 ottobre, e visitabile fino al 1° febbraio 2026, a Palazzo Cipolla, in via del Corso, 320. Il palazzo fa parte del Polo Museale “Museo del corso”. Come al solito, non è una critica d’arte, ma la segnalazione e condivisione di un’esperienza. Buona lettura e buona visione!
Nella mostra Dalí, rivoluzione e tradizione sono esposte 60 opere, tra dipinti e disegni, dell’eccentrico, visionario, geniale artista catalano Salvador Dalí.
Queste opere sono accompagnate da documenti fotografici, estratti di documentari, interviste video, che testimoniano il rapporto dell’artista con la contemporaneità, con i maestri d’arte che lo hanno ispirato; il suo rapporto con l’innovazione rivoluzionaria e al contempo con i classici della tradizione.
A sintesi di questo, c’è la frase del saggista e storico dell’arte Élie Faure sulla parete che inaugura l’inizio del cammino. Citazione che era stata utilizzata per il giovane Dalì alla fine del catalogo della sua prima mostra personale, alle Galeries Dalmau di Barcellona, di cui quest’anno ricorre il centenario:
Il percorso della mostra inizia con la produzione artistica giovanile di Dalì, per arrivare alle ultime opere della maturità, e come già detto illustra il rapporto che l’artista ha avuto con “due poli apparentemente opposti: rivoluzione e tradizione”.
C’è la ricerca di rinnovamento, una tensione alla rivoluzione per rompere gli schemi del tempo, come mezzo per trovare la propria e autentica identità ed essere pronto a comprendere e accogliere gli insegnamenti, imprescindibili, dei grandi maestri d’arte della tradizione, per lui: lo spagnolo Velàsquez, l’olandese Vermeer e l’italiano Raffaello Sanzio.
Le quattro sezioni in cui è suddivisa l’esposizione evidenziano il rapporto di Salvador Dalì con i “suoi maestri”, di cui cita elementi artistici nei suoi dipinti, ma anche nel suo personaggio, come ad esempio gli emblematici baffi all’insù di Velàsquez.
C’è l’autoritratto di Raffello, il cui “collo” è preso in prestito da Dalì nel suo autoritratto, quello che dà il volto al manifesto della mostra. Personalmente, ci ho ritrovato anche la somiglianza con lo sguardo e la posizione del viso (più o meno) de La ragazza con l’orecchino di perla, proprio di Vermeer.
È narrato anche il rapporto di Dalì con il connazionale Pablo Picasso, quest’ultimo, dapprima grande ispirazione per l’artista negli anni degli inizi, con una evidente influenza cubista nella sua arte, finché non si è innescato un rapporto di rivalità.
Di ognuno degli artisti elencati, la mostra accoglie fotografie, stampe di opere; c’è l’autoritratto di Raffaello su tela, datato 1506.
A queste sezioni, si aggiunge un’area centrale dove si trovano materiali e disegni originali tratti dal libro daliniano 50 segreti magici per dipingere, che svelano il metodo teorico e tecnico dell’artista. C’è, ad esempio, un disegno che illustra come preparare miscele di colore e oli, spiegando quali colori abbinare a un certo tipo di olio per ottenere una certa qualità di colore.
In una stanza un po’ nascosta, c’è la gigantografia di un’esilarante, trovo, tabella comparativa in cui Dalì confronta diversi maestri d’arte dal Rinascimento in poi, assegnando a ognuno un punteggio (voto massimo 20), in base a una voce (ispirazione, originalità, genialità, composizione…).
Nella lista Salvador Dalì ha compreso anche se stesso con cui è particolarmente generoso! Mentre i “poveri” Monet, Bouguereau (che a me piace molto) e Mondrian sono stroncati su tutta la linea.

Personalmente, l’area che ho amato di più è quella dedicata alle opere olografiche e stereoscopiche. Io sono curiosa come una bimba e amo lo stimolo di tutti i sensi; amo l’immersività, la sperimentazione. Cerco sempre l’opportunità di diventare parte della narrazione e soggetto artistico, così come accaduto nella mostra di Mucha, di cui ho parlato nell’articolo precedente.
Cerco il gioco con l’artista. E l’ho trovato nell’installazione stereoscopica che fa interagire le opere La scuola di Atene e L’incendio di Borgo, attraverso degli specchi, così come i due emisferi celebrali (e personalmente ne aggiungerei un “terzo” non fisico. Dalì la sapeva lunga…)
Direzione scientifica di Montse Aguer con la curatela di Carme Ruiz González e Lucia Moni, realizzata dalla Fondazione Roma in collaborazione con la Fundació Gala-Salvador Dalí e con il supporto organizzativo di MondoMostre.
Di seguito, un breve video dedicato alla mostra.



















